Daniele, Dede per chi gli vuol bene, è un grande uomo di 28 anni, racconta la mamma, è dolce e allegro, talvolta scontroso, si arrabbia quando fatica a capire o ad essere compreso, ma è anche capace di slanci di generosità e tenerezza. Ama il basket, la musica rap e le costruzioni con il lego, in cui esprime la sua creatività.
L’inizio quando…
La sua nascita è stata una grande gioia per tutta la famiglia: mamma, papà e Silvia, la sua sorella maggiore. Ha subito tenuto molto posto nel mondo (in tutti i sensi): lungo e robusto, ci teneva svegli di notte, di giorno richiedeva molte attenzioni, ed è stato così per tutta l’infanzia e l’adolescenza, un misto di gioie e preoccupazioni ad occupare la vita familiare.
Ricordare quel che abbiamo passato, come famiglia – racconta la mamma – non è sempre facile, ma alcuni momenti sono senz’altro significativi.
Ad esempio: quando finalmente, in ritardo rispetto ai suoi coetanei, ha camminato, quando alla scuola materna l’educatrice ci ha preso da parte e ci ha detto: “vostro figlio o è un genio o è dislessico” (e noi non capivamo), quando in prima elementare durante le vacanze di Natale le maestre gli avevano dato il corsivo da imparare a casa e abbiamo pianto tutti vedendo gli sforzi che faceva e la sofferenza nei suoi occhi.
Poi abbiamo deciso di cambiare scuola, quando finalmente ha trovato la maestra Olga che lo ha fatto rinascere, quando il neuropsichiatra infantile gli ha detto: “tu non sei scemo, sei dislessico e discalculico” e da quel momento ha iniziato a chiamare il dottore “il mio caro dott. M.”, quando ha iniziato a costruire metafore geniali osservando il mondo (un giorno, vedendo delle foglie autunnali trascinate dal vento ha detto ”sembrano topi stanchi che corrono nella nebbia”: un poeta?), quando ogni settimana si andava dalla logopedista, dall’optometrista, dalla psicologa, ma anche a giocare a basket, quando alle medie ha imparato a chiedere di uscire dalla classe e fare una corsa in corridoio quando sforzi e frustrazione superavano la soglia di sopportazione, quando gli insegnanti non volevano che usasse il PC “perché non bisogna favorirlo”, quando alle superiori ha imparato a fare le mappe concettuali e a studiare con il tutor e alla fine ha fatto l’esame di maturità superandolo con le sue forze, quando si è innamorato, non corrisposto, di una compagna di classe.
Il percorso verso l’indipendenza
Gioie, dolori, delusioni, preoccupazioni, ma anche tenacia, determinazione, che hanno forgiato il carattere di Daniele e anche quello dei genitori. E in tutta questa storia una sorella “in gamba” un po’ trascurata (ma lo abbiamo capito forse un po’ troppo tardi).
Dopo la maturità il percorso per certificare l’invalidità e permettergli qualche opportunità formativa e lavorativa in più. Anche questo è un percorso in salita, fatto di speranze, illusioni, delusioni, ma anche in questo Daniele, con l’aiuto di tutte le persone che ha incontrato nella sua strada e lo hanno accompagnato per periodi più o meno lunghi, ha continuato a impegnarsi per raggiungere l’obiettivo dell’autonomia che tanto desidera. Ora è un buon momento: sta lavorando con un tirocinio di 6 mesi (anche se il “dopo” lo preoccupa molto) e da un mese abita con altre quattro persone in un alloggio di autonomia, in cui il testimone è passato dai genitori agli educatori che lo curano con un accompagnamento “leggero”. Il suo sogno è di avere un giorno un alloggio tutto suo e trovare una fidanzata.
Il Basket
Per Daniele avvicinarsi al basket è stato naturale: è lo sport praticato da tutta la famiglia, perciò sin da piccolo ha avuto un pallone a spicchi tra le mani. Ha fatto minibasket e basket in squadre giovanili, ma il salto di qualità è avvenuto entrando nella squadra, Team di Special Olympics. Finalmente ha trovato la sua dimensione, si è sentito parte di una squadra, sta imparando a perdere senza arrabbiarsi (questo è il suo punto debole..), non si sente escluso se sta in panchina (come invece avveniva nelle precedenti esperienze), partecipa ai momenti conviviali dopo-partita, ma è anche migliorato tecnicamente, come se sentirsi apprezzato abbia fatto emergere potenzialità prima sopite.
Ogni tanto penso: avremmo potuto fare qualcosa di diverso e migliore per nostro figlio? Quando non ci saremo più cosa ne sarà di lui? La sua vita sarà sufficientemente “felice”? So che è la preoccupazione di tutti i genitori, ma so anche che non è possibile far altro che vivere giorno per giorno e cercare di fare il meglio possibile, nella consapevolezza che errori, inciampi, delusioni, ma anche gioie, risate, pianti, abbracci, scontri, pacificazioni, fanno parte della vita e la arricchiscono.